L'Abbazia di San Nicola di Casole - Affitti turistici

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L'Abbazia di San Nicola di Casole

Il territorio > Comune di Otranto

Se la chiesa di S. Pietro è l’espressione artistica più rilevante della cultura bizantina nel Salento, l’abbazia di S. Nicola di Càsole simboleggia nella storia della Terra d’Otranto il punto d’unione e d’incontro della cultura orientale con quella latina. Per quattro secoli, dalla fine dell’XI, quando sorse per opera dei Normanni, sino alla metà del Cinquecento, l’abbazia di Càsole fu il centro monachesimo greco, o italo-greco, in Puglia.
L’epoca normanna coincise con il periodo aureo dei basiliani d’Italia, l’ordine monastico che resse l’abbazia sino agli inizi del Seicento. Come nei monasteri benedettini, anche qui furono iniziati importanti lavori di trascrizione dei codici filosofici e teologici greci e di testi di molti autori latini, che arricchirono la grande biblioteca con manoscritti di immenso valore, oggi patrimonio delle maggiori biblioteche europee. Ben presto, Càsole divenne un centro di studi e di scambi ad altissimo livello di culture di diversa estrazione; con l’andar del tempo divenne una vera e propria "scuola", forse l’unica in tutta la storia del Salento fino all’età moderna.
Attraverso i documenti ecclesiastici e gli atti di donazione si può risalire alle origini dell’abbazia, di cui rimangono oggi i resti sulla collina otrantina verso la Palascìa, al di là del colle Minerva. Fondatore del monastero fu l’abate Giuseppe, intorno al 1098-99; l’arcivescovo di Otranto, Berardo, che vide sorgere l’abbazia, firmò in quel tempo vari documenti riguardanti la donazione di possedimenti per la comunità monastica; donazioni che vennero confermate con una lettera nel 1218 da Onorio III, che raccomandò ai monaci di seguire e osservare la regola di san Basilio.
All’arcivescovo di Otranto apparteneva il diritto di confermare l’elezione dell’abate o igumeno di Càsole, come si rileva da un documento di Gregorio X del 1274, con cui il papa assolveva l’arcivescovo otrantino Matteo de Palma dalla pena inflittagli sei anni prima per non aver contrastato Manfredi, usurpatore del regno, durante la divisione dei beni ecclesiastici. L’atto lo dispensa anche dall’irregolarità commessa per aver confermato l’elezione di Gregorio ad abate del monastero, durante il periodo di pena.
Alla metà del secolo XII tra gli igumeni del monastero emerge la figura di Nicola, prescelto dal pontefice come intermediario con l’imperatore d’Oriente nelle questioni di carattere dottrinale e amministrativo. Studioso insigne, diede inizio alla ricchissima biblioteca, quasi completamente dispersa dopo l’invasione turca (1480).
Gli avvenimenti del 1480-81 segnano il declino dell’abbazia, come testimoniano i libri delle Visite pastorali degli arcivescovi di Otranto. La vita della comunità monastica continuò comunque fino al 1607, anno che segna un radicale mutamento dell’abbazia, già da tempo abbandonata dai basiliani. La chiesa, come attesta la "Visita" dell’arcivescovo Lucio de Morra, era ancora intatta ma: "molte altre aule e la casa monastica sono dirute, ed altre minacciano la rovina".
Verso il 1665, lo spagnolo Gabriele Adarzo di Santander, vescovo di Otranto, cercò di salvare l’abbazia, facendola restaurare sommariamente; il tentativo servì a poco: scomparsa la vita monastica, Càsole infatti crollò lentamente e oggi non ne restano che le mura diroccate.      

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